giovedì 27 luglio 2017

Riforma Sociosanitaria della Regione Lombardia:


serve un tagliando di controllo
La riforma del sistema sociosanitario lombardo, a due anni dalla sua promulgazione
con la legge 23/2015, richiede a nostro avviso una profonda discussione per
evidenziarne punti di forza e criticità.
Chiaramente si dovrà partire da un'attenta analisi delle criticità già evidenziate ma si
dovranno cogliere anche le opportunità che la legge poneva e che Regione Lombardia
sembra aver smarrito nel percorso della sua applicazione.
È ormai chiaro che gli obiettivi condivisi dalla Regione con le o.o.s.s. - attraverso la
firma del patto d'intesa voluto fortemente dal presidente Maroni - sono stati per una
parte modificati: il sistema privato è stato ulteriormente rafforzato, soprattutto quello
degli attori del settore clinico. Questo ha fatto sì che uno dei capisaldi della riforma
sociosanitaria, ossia l'integrazione ospedale territorio, sia passato in secondo
piano,almeno fino ad ora, avendo il privato poco interesse allo sviluppo di politiche
di integrazione con il sistema sociale.
Per noi è irrinunciabile che uno dei capisaldi della legge, l’integrazione sociosanitaria
per l’appunto, si concretizzi e che questa integrazione sia percorsa anche dai soggetti
privati.

Del resto basta vedere le disposizioni regionali sulla presa in carico per notare che
questo aspetto è tutt’ora tralasciato.
Lo stesso si può dire per le Asst che dimostrano di non essere in grado di superare il
ruolo tradizionale di ospedale, questo anche perché Regione Lombardia non ha inteso
separare i piccoli e medi ospedali da quelli di grandi dimensioni, che più utilmente
avrebbero rappresentato dei veri hub di risposta del sistema pubblico, concentrando
al loro interno le alte specialità.
Questo avrebbe prodotto risparmi di scala da reinvestire sul territorio in politiche di
medicina di iniziativa, se ciò non avviene si produce il rischio di un indebolimento
del sistema di cura anche per gli acuti.
Anche il modello sociale che si sta materializzando nella nostra regione, evidenzia
una forte concentrazione delle politiche sociali, basti pensare che si propone una forte
riduzione dei distretti che passerebbero dagli attuali 97 a 27, determinando in questo
modo ambiti di dimensioni talmente grandi (500mila persone) tali da rendere
probabilmente difficile coordinare le politiche territoriali tra i diversi soggetti
istituzionali e sociali.
Sarebbe indispensabile una politica regionale, che favorisca politiche di gestione
associate attraverso l’aggregazione di piccoli comuni in istituzioni più grandi,
favorendo così politiche sociali più incisive e approffittando anche degli incentivi
nazionali a sostegno delle fusioni dei comuni.
A nostro avviso meglio servirebbe un percorso di avvicinamento per step successivi
che preveda un processo di accorpamento sicuramente meno rapido, accompagnato
da periodi di riadeguamento delle realtà locali alle nuove necessità.
1
Manca, inoltre, una proposta compiuta sul come realizzare una adeguata rete di cure
intermedie distribuita in maniera omogenea su tutto il territorio regionale,
presupposto per garantire un corretto percorso di cure post acute che abbia l'obiettivo
di favorire il recupero psicofisico delle persone riportandole in condizioni di
autonomia al proprio domicilio.
Le politiche regionali attuali non incentivano il potenziamento della rete delle cure
domiciliari tanto che l'unica vera opzione in capo alle famiglie rimane tutt’ora quella
dell'assunzione di una badante, con costi molto alti per le famiglie e che non
favoriscono l’emersione del lavoro nero, nonostante la presenza di una buona legge
regionale sulle assistenti familiari che però risente di un mancato finanziamento a
favore delle famiglie.
Gli stessi servizi di prossimità dei comuni non rispondono più alle esigenze delle
famiglie sempre più bisognose di servizi flessibili e con costi accessibili, mentre ciò
che registriamo è il contrario, costi alti e sistemi rigidi.
Anche la rete delle residenzialità, pur non essendo riuscita a esercitare il ruolo di
vero motore delle politiche territoriali, ha cercato di attivare strumenti innovativi
come le Rsa aperte che hanno avuto successo, gradite alla utenza e favorite da misure
economiche regionali a sostegno, sostegno che ,invece, non si è ancora realizzato
sulla riduzione delle rette nelle Rsa.
Questa unità di offerta per i costi delle rette spesso alte costringe, inoltre, molte
famiglie a cercare soluzioni alternative come il mantenere a casa l’anziano, scelte
spesso obbligate con pesanti ricadute sulla qualità di vita dell’anziano e della stessa
famiglia.
Quindi per riprendere un giusto cammino va a nostro avviso riaffermato un forte
ruolo del soggetto pubblico in questa riforma sociosanitaria, che deve riaffermarsi
come unico organismo di programmazione e, al tempo stesso, regolatore delle
dinamiche territoriali nella funzione di regista del sistema.
Al soggetto pubblico Ats deve essere demandata la valutazione multidimensionale e
la definizione dal Piano assistenziale individuale per i soggetti cronici, pur
garantendo la libera scelta del gestore del processo di cura.
A nostro avviso serve un forte ruolo pubblico che deve iniziare a declinarsi in azioni
rivolte a politiche di prevenzione delle malattie croniche e per la promozione di
corretti stili di vita, chiave di volta del sistema assieme all’integrazione delle politiche
sociali, nella prospettiva di ridurre fortemente i costi per poter reimpegnare i risparmi
in nuovi processi di cura e nuove misure sociali a sostegno.
Per fare questi percorsi riteniamo serva un forte coinvolgimento degli utenti affinché
si convincano - attraverso la conoscenza dei cambiamenti - che una loro vera
responsabilizzazione per una convinta adesione ai programmi di cura preventivati è
necessaria.
La Regione, inoltre, deve essere in grado di esercitare un forte ruolo di garante delle
erogazioni dei Lea promuovendo una forte integrazione anche delle componenti
sociosanitarie e sociali, così come dovranno essere sempre più contenute le liste di
attesa.
2
Il medico di medicina generale riteniamo sia determinante per la riuscita della
riforma e, per questo, deve essere coinvolto attivamente in tutte le fasi della
costruzione del percorso di cura, partendo dalla sua fattiva partecipazione alla
valutazione multidimensionale, attivando tutte quelle forme di collaborazione che
valorizzino il loro ruolo qualificato, migliorando così l’assistenza territoriale.
Come Spi riteniamo serva, a questo punto, un monitoraggio delle cose fatte che
permetta anche di correggere quelle criticità che, di fatto, non rendono fruibili gli
obbiettivi che la riforma ha previsto.

Nessun commento:

Posta un commento

Il percorso di cura della persona colpita da ictus: la fase post acuta e riabilitativa

2 | www.ulss.tv.it A COSA SERVE QUESTA GUIDA? Questa guida è realizzata per le persone colpite da ictus, i loro famigliari, le persone di...